Chi Siamo

Ci occupiamo di educazione ambientale, ricerca, creazione di itinerari ambientali, promozione del territorio e organizzazione di escursioni.
Le nostre iniziative e progetti sono rivolte alle scuole, enti pubblici, privati e turisti.
Gestiamo il CEAS Santa Lucia Siniscola.
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lunedì 7 giugno 2010

POSIDONIA OCEANICA


La Posidonia oceanica è una fanerogama marina, quindi una pianta superiore, non un’alga, presente esclusivamente lungo le coste del Mediterraneo. Si riproduce sessualmente mediante la fecondazione di fiori e la formazione di frutti e semi. Il fusto modificato prende il nome di rizoma e da questo si formano le radici che penetrano nel substrato, avendo tanto la funzione di ancoraggio quanto di assorbimento di sostanze nutritive. Il rizoma ha una possibilità di crescita sia in senso orizzontale che in senso verticale, così che la pianta può adattarsi a diverse condizioni ambientali. Le due modalità di crescita permettono alla pianta di colonizzare aree nuove (crescita orizzontale) e consolidarsi in aree dove è presente in abbondanza (crescita verticale). Quest’ultima modalità di crescita determina un innalzamento del fondo marino dando origine ad una tipica formazione a ‘terrazzo’ chiamata con il termine francese “matte”. La “matte” è quindi formata da un intreccio costituito da più strati di vecchi rizomi e radici e da sedimento intrappolato tra questi e fortemente compattato. La parte più alta di questa stratificazione è ricoperta dai fasci viventi della fanerogama. In seguito ad un peggioramento delle condizioni ambientali, che possono far degenerare e morire le piante, la “matte” persiste con l’intreccio dei soli rizomi e radici morte (“matte” morta). L’apice vegetativo da cui originano le foglie organizzate in ciuffi è situato nella parte superiore del rizoma. Ogni ciuffo è composto da 6-7 foglie nastriformi, larghe mediamente 1 cm e lunghe anche 1 m.
La Posidonia oceanica colonizza ampie aree dei fondali mediterranei formando delle vere e proprie praterie sommerse. Le caratteristiche delle praterie sono in relazione, tra le altre cose, con la conformazione del litorale e del fondale, con la trasparenza, e più in generale con la qualità delle acque. Il “margine superiore” delle praterie, il limite minimo di profondità dove è possibile trovare le piante, è situato a profondità estremamente variabili secondo la zona e può giungere a pochissimi metri di profondità mentre il “margine inferiore”, la massima profondità cioè raggiunta dalla prateria, può spingersi fino a 40 m in acque particolarmente limpide.

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Le praterie di Posidonia costituiscono una delle componenti fondamentali dell’equilibrio e della ricchezza dell’ambiente litorale costiero. L’elevato rendimento dell’apparato fotosintetico di questa pianta e le ampie superfici ricoperte dalle praterie fanno si che questa fanerogama contribuisca in maniera notevole all’ossigenazione delle acque.
Le praterie di Posidonia oceanica, con la formazione di una biomassa vegetale media annuale pari a circa 38 tonnellate di peso secco per ettaro, vengono considerate come le più forti concentratici di materia vivente del Mediterraneo. Una parte della produzione della prateria, stimata attorno al 30%, viene esportata verso altri fondi, soprattutto sotto forma di foglie morte. Queste ultime, trasportate dalle onde e dalle correnti, vanno ad alimentare una rete trofica la cui base è costituita da batteri, funghi e protozoi e il vertice da predatori di livello trofico superiore tra cui i pesci.
Le oltre 400 specie diverse di alghe e il migliaio di specie animali che popolano le praterie fanno sì che la diversità ecologica di questo ambiente sia elevatissima. Qui, inoltre, trovano rifugio stadi giovanili di numerose specie di invertebrati e pesci.
La diminuzione della produzione di foglie all’interno di una prateria, causata da uno stato di sofferenza della Posidonia, è in grado di causare ripercussioni sull’intero sistema costiero: impoverimento quantitativo all’interno delle catene alimentari e alterazioni fisiche di alcuni substrati sedimentari che inducono delle modificazioni qualitative dei popolamenti.
Le praterie inoltre possono rappresentare un fattore di stabilità dei fondi mobili e delle rive. Le onde e le correnti ortogonali vengono ammortizzate dall’azione frenante delle “matte” e delle foglie, spesse e alte, e il sedimento in transito viene trattenuto in parte dalle foglie e dal sistema dei rizomi.
L’efficacia della protezione offerta al litorale dalle praterie di Posidonia è dimostrata dalle conseguenze a catena che possono venire innescate dalla loro scomparsa: instabilità ed escavamento dei fondi, erosione
delle spiagge, insabbiamento dei porti, ecc.
Per la particolare sensibilità di questa biocenosi alle alterazioni delle caratteristiche ambientali e per il fatto che rappresenta il popolamento vegetale più esteso e comune del piano infralitorale mediterraneo, dove l’impatto delle fonti inquinanti è più intenso, le praterie di Posidonia vengono normalmente utilizzate quale indicatore biologico.

giovedì 3 giugno 2010

L'evoluzione geologica del Monte Albo

L'evoluzione geologica del Monte Albo

La catena del Monte Albo come oggi la conosciamo è il risultato di diversi e inarrestabili processi geologici succedutisi dall'alba dei tempi. Per capire l'evoluzione è necessario focalizzare l'attenzione sui rilievi che lo incorniciano sia a nord-ovest che a sud-est, costituiti da terreni più antichi di origine metamorfica, per lo più di natura scistosa, prodotti da possenti movimenti orogenetici. Sono i testimoni degli originari strati sedimentari che vennero sconvolti, 350 milioni di anni fa, dall'orogenesi ercinica, alla quale si deve l'innalzamento di altissime catene montuose, seguito dall'intrusione delle masse granitiche. Si venne così a formare l'ossatura del micro continente sardo-corso. Terminata l'orogenesi ercinica, seguì la lunga fase del Permiano, durata circa 45 milioni di anni, durante la quale le grandi montagne vennero profondamente incise dall'azione impetuosa e continua dei corsi d'acqua, trasportando a valle smisurate quantità di sedimenti. L'intensa attività erosiva produsse lo smantellamento delle catene montuose, riducendo il micro continente sardo-corso a una dorsale centrale, circondata da vaste superfici spianate.
E' in questo scenario che iniziò il lungo e lento processo di ingressione marina che diede origine alla sedimentazione dei calcari del Monte Albo nel corso dell'età Mesozoica. Allo stesso modo si formarono diversi altri rilievi sardi, come il monte Tuttavista, l'isola di Tavolara, il vasto Supramonte, i calcari della nurra e quelli di Porto Pino. Queste rocce iniziarono a depositarsi circa 180 milioni di anni fa in ambienti simili alle attuali barriere coralline dei mari caldi.
Durante il Giurassico si verificarono tre cicli sedimentari accompagnati da notevoli variazioni del livello marino, con fenomeni alternati di trasgressione e regressione che, di volta in volta, modificavano gli ambienti di deposizione. Il mare inziò la sua avanzata con acque poco profonde, instaurando un sistema costiero caratterizzato da lagune: in questo contesto si formarono le rocce dolomitiche di colore grigio, che attualmente costituiscono la base del versante occidentale del Monte Albo. Col passare di milioni di anni, il livello marino andò gradualmente aumentando, fino a creare l'ambiente favorevole alla vita degli organismi costruttori delle barriere oralline, dando così origine ai calcari compatti chiari. Successivamente l'azione del moto ondoso portò alla progressiva disgregazione delle strutture delle scogliere e alla conseguente formazione dei calcari bioclastici compatti disposti a bancate. Al termine del Mesozoico la successione degli strati sedimentari di natura calcarea reggiungeva ormai i 1000 m.
L'orogenesi che caratterizza l'era Cenozoica scatenò una serie di imponenti fenomeni tettonici, provocando il distacco del blocco sardo-corso dal contesto europeo e la sua deriva nel Mediterraneo fino a raggiungere l'attuale collocazione. Possenti spinte telluriche determinarono lo sbandamento del massiccio del Monte Albo fino alla collisione con il basamento granitico sollevato di monte Senes, provocando inoltre la sovrapposizione delle dolomie basali del Giurassico sui calcari stratigraficamente più alti. Gli effetti di questi movimenti sono ancora evidenti nelle strutture geologiche e nell'intensa fratturazione delle rocce.
Con un processo inarrestabile che continua fino ai giorni nostri, nel corso degli ultimi milioni di anni l'erosione delle rocce calcaree, operata dagli agenti esogeni come la pioggia e il vento, ha contribuito a determinare l'attuale configurazione del paesaggio.

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