Monte Albo: Utilizzo nel tempo delle risorse ambientali.
I forni di calce
Sos urros ’e carchina
PREMESSA
Il Comune di Siniscola si trova nella costa orientale sarda, oltre che da delle bellissime spiagge è caratterizzato dalla presenza del Monte Albo, una notevole dominante ambientale che nel corso dei tempi ha influenzato in modo considerevole la storia, l’economia e lo sviluppo sociale delle popolazioni circostanti.
Alle sue caratteristiche geologiche si lega indissolubilmente una tra le principali risorse del territorio, rappresentata dalla roccia calcarea, che nel passato ha determinato la nascita di attività come quella dei carchinajos, i cavatori di calce.
Gli antichi forni di calce, che si incontrano numerosi alle falde della montagna, testimoniano le buone pratiche adottate dai nostri antenati in passato e l’uso sostenibile delle risorse ambientali a propria disposizione. Ancora oggi l’attività di cava costituisce una delle più importanti fonti economiche dell’area del Monte Albo.
Da questo forte legame ha preso spunto il nostro progetto, in cui si è analizzato il rapporto tra uomo, natura e ambiente, al fine di stimolare una riflessione sugli stili di vita “arcaici”, traendone insegnamento per uno sviluppo più sostenibile, in cui si fondano antico e moderno. Il progetto è stato finanziato dalla Regione Sardegna e dalla Provincia di Nuoro, attraverso il bando per il cofinanziamento di azioni di educazione all’ambiente e alla sostenibilità. Per la realizzazione di questo lavoro è stata fondamentale la memoria storica dei fratelli Salvatorangelo (noto Toranzelu) e Francesco Bellu, e di Pietro Soro, che hanno lavorato nei forni di calce e sono i testimoni diretti di questa parte del nostro passato. Per il censimento e rilevamento dei forni sul territorio invece è stato d’aiuto Luigi Mulargia.
IL TERRITORIO DEL MONTE ALBO
Il massiccio calcareo del Monte Albo si innalza in prossimità della costa nord-orientale della Sardegna. Dal punto di vista amministrativo è compreso nei territori comunali di Siniscola, Lula, Lodè, Irgoli, Loculi e Galtellì. Considerato un biotopo di rilevante interesse botanico e faunistico, il Monte Albo è stato individuato come Sito di Interesse Comunitario (SIC), estendendosi all’interno di questo per circa 8.832 ettari lungo la direttrice NE-SO, con una linea di cresta lunga oltre 13 km. Le cime più elevate sono Punta Catirina e Punta Turuddò (entrambe 1127 m), mentre a nord-est la più alta è Punta Cupetti (1029 m), che domina la cittadina di Siniscola.
Il paesaggio è caratterizzato dai tipici fenomeni carsici, con un’erosione superficiale che origina falesie, forre, burroni e strapiombi. A rendere assai suggestivo lo scenario contribuiscono campi solcati, doline, voragini e numerose grotte di varie dimensioni e sviluppo.
La ricca flora del Monte Albo è caratterizzata da lembi di foreste primarie di lecci, accanto alle quali convivono numerosi endemismi. Il leccio (Quercus ilex) è la specie forestale più importante e fino a un recente passato le leccete ricoprivano buona parte delle superficie del rilievo montuoso. Tra le specie più diffuse si segnalano il ginepro, l’erica, il corbezzolo e, nelle zone più elevate, l’acero minore.
Di grande interesse è anche la fauna che popola la montagna, comprendente il muflone, la martora, la volpe, il cinghiale, il porcospino, la lepre e la donnola. Sulla cresta, tra le rocce, nidificano grandi rapaci come l’aquila reale e l’astore. Una menzione particolare merita il geotritone del Monte Albo (Speleomantes flavus), un piccolo anfibio che vive all’interno delle grotte, endemismo esclusivo del massiccio calcareo.
L’UTILIZZO DELLA RISORSA ROCCIA NEL TEMPO
Nel territorio di Siniscola, fin dai primi decenni del Novecento, si produceva la calce. Questa attività era favorita dalla presenza della materia prima di cui è costituito il massiccio calcareo del Monte Albo. Testimonianza ne sono i numerosi forni di calce distribuiti sul territorio. Prima della comparsa dei moderni macchinari la lavorazione della calce era completamente manuale e molto faticosa. Nel corso degli anni l’utilizzo della risorsa roccia presente nel territorio ha coinvolto diverse attività.
Cronistoria di alcune delle realtà più significative del territorio
Primi anni Cinquanta: lungo l’orientale sarda nasce la Sardocalce, dove si producevano diversi tipi di calce e di granulati per il mercato locale.
1965: nasce l’Aurora-Marmi e Graniti S.p.A. per la lavorazione dei marmi estratti da una cava adiacente allo stabilimento, in regione Oreo. Non è più in attività.
1974: inizia la produzione del cemento da parte della Ce.Nu., Cementerie Nuoresi S.p.A., creata da un gruppo d’imprenditori sardi. Lo stabilimento fu completato nel 1977, anno nel quale venne anche avviata la produzione. In seguito, con l’esigenza di nuovi apporti finanziari, fecero il loro ingresso nuovi soci: l’Unicem di Torino e la Cementeria di Merone (Como), alle quali nel 1979 passò completamente la proprietà, in seguito acquistata nel 1987 dalla sola Unicem. Nel 1987 la Ce.Nu. fu quindi incorporata nella Unimorando S.p.A., che assieme ad altre unità produttive è confluita nella Cementerie del Centro-Nord, con sede a Casale Monferrato.
I FORNI DI CALCE: LOCALIZZAZIONE E SCELTA DEI SITI
La scelta del luogo dove erigere i forni di calce era molto importante e richiedeva uno studio preliminare dettagliato nel quale si analizzavano diversi aspetti, come l’abbondanza nelle immediate vicinanze di materia prima di buona qualità da estrarre, la possibilità di reperire enormi quantità di legna necessarie per alimentare il fuoco di cottura del materiale lapideo e, infine, la presenza di un versante o una parete per incassare almeno parzialmente il forno al fine di evitare crolli e dispersione di calore.
Nel territorio di Siniscola, allo stato attuale delle conoscenze sono stati censiti 23 forni, distribuiti dalla zona di Oreo, al confine con il comune di Posada, fino a Sa Conca ’e Locoli, ai piedi del Monte Albo. Alcuni di questi si trovano in ottimo stato di conservazione, sebbene da tempo abbandonati, di molti altri non ne restano ormai che rare tracce.
STRUTTURA DEI FORNI E TECNICHE DI COSTRUZIONE
I forni per la cottura della calce avevano una forma tronco-conica e una struttura imponente con capienza media di 800-1000 quintali di calcare. Infatti, spesso avevano un’altezza che raggiungeva i 5-7 m, un diametro di 5-6 m e un’ampia apertura d’ingresso, alta fino a 2 m. Il forno era più largo alla base, mentre si restringeva leggermente nella parte superiore, che rimaneva aperta.
La struttura del forno era costruita a strati di diversi tipi di roccia. La parte interna era rivestita di roccia scistosa, più resistente alle alte temperature (300-400°C), mentre quella esterna era realizzata con l’utilizzo della roccia calcarea e gli interstizi venivano sigillati con l’argilla. All’interno, la parte centrale dove si accendeva il fuoco era chiamata sa lapia.
SELEZIONE DEL CALCARE E ALTRE OPERAZIONI PRELIMINARI
I lavori consistevano inizialmente nella scelta del costone da far franare e, conseguentemente, in base alle fratture che presentava la roccia e alla sua posizione, nella sistemazione delle mine. I blocchi calcarei scelti erano chiamati “trovanti” e avevano delle dimensioni che variavano dai 3 ai 10 m3. Fino agli anni 1965-68 i fori per inserire la dinamite nei “trovanti” erano fatti a mano dai carchinajos con mazze e ferri. Dopo lo scoppio il costone franava nel piazzale sottostante, dove si praticavano le operazioni di spacco, che avvenivano manualmente con la mazza o tramite ulteriori esplosioni effettuate con la “polvere nera”.
Un’altra operazione preliminare all’accensione era la raccolta di una grossa quantità di legna da ardere, della quale si utilizzava quella più diffusa e presente nei dintorni del sito: cisto, lentisco e corbezzolo.
OPERAZIONI DI CARICAMENTO E COTTURA DEL CALCARE
Terminate le operazioni preliminari gli operai provvedevano a caricare il forno divisi in due squadre. Una si occupava del trasporto e della sistemazione manuale della roccia, mentre l’altra squadra si occupava della legna per alimentare costantemente il fuoco. Nella parte centrale, vicino alla fiamma, erano posti i blocchi più grandi, mentre man mano che ci si allontanava si sceglievano via via i pezzi più piccoli.
Conclusa la fase di riempimento si procedeva all’accensione del fuoco nel fornello appositamente predisposto.
A ridosso del forno era allestito un piccolo ambiente utilizzato dagli operai come riparo sia nei mesi estivi che invernali.
Il lavoro e la fatica sostenuta dagli operai erano immani; infatti, per portare a compimento il processo di cottura di un solo forno, era indispensabile la manodopera di almeno 8-10 persone, con turni di due alla volta per un intero mese, sia di giorno sia di notte. Questo non accadeva sempre: in molti casi il lavoro era svolto da squadre ridotte che si alternavano nel duro lavoro.
La cottura della calce poteva durare dai 15 ai 40 giorni, a seconda delle condizioni climatiche. Per alimentare il forno per una durata di 30 giorni servivano in media dalle 30.000 alle 40.000 fascine di legna. Con il bel tempo per completare la cottura di 1000-1100 quintali di calcare si impiegavano 28 giorni, mentre in sfavorevoli condizioni metereologiche essa veniva prolungata fino a 35-40 gg..
Quando la roccia assumeva una colorazione dorata, significava che la cottura era terminata. La resa finale corrispondeva a circa l’80% di tutto il carico, infatti la parte interna dei blocchi, il “cuore”, non raggiungeva la temperatura di cottura.
Una volta terminata la cottura, la calce veniva estratta con le vanghe dal forno. La vendita del prodotto finito avveniva nei pressi del sito, dove i privati si recavano per acquistarla, o nei paesi limitrofi trasportata con i carri.
Per poterla conservare meglio, una volta che veniva idratata, questa veniva posta all’interno di buche nel terreno e ricoperta con uno strato di sabbia.
PROPOSTE PER LA VALORIZZAZIONE, TUTELA E RECUPERO DEI FORNI DI CALCE
Le antiche fornaci, piccoli gioielli d’archeologia industriale, sono uno strumento importante per capire e studiare il passato più recente della nostra attuale civiltà industriale. I forni di calce (sos urros ’e carchina nel dialetto locale) rappresentano una singolare testimonianza e come tali si rende necessaria la loro conservazione perché parte integrante della cultura e delle tradizioni della nostra terra.
Sarebbe importante valorizzarli e creare degli itinerari turistici escursionistici, con percorsi d’archeologia industriale e naturalistici. Infatti, la maggior parte sono immersi in aree di notevole pregio naturalistico molto interessanti per i tipi di fauna e flora che vi si ritrovano.
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